IL WELFARE DI SAN TOMMASO
Di cosa parliamo quando parliamo di Welfare
Molti pensano che il concetto di welfare state, riferito alle azioni che uno Stato mette in opera per diminuire il livello di disuguaglianza sociale, supportare le fasce disagiate della popolazione e garantire comunque un livello di benessere ‘minimo’ a tutti i cittadini, abbia origini recenti, sia un frutto della modernità. In realtà non è così se consideriamo che già l’imperatore Augusto fece ricorso al congiarium per distribuire il grano a coloro che non erano in grado di procurarsi autonomamente il cibo e che, dall’altra parte del mondo, l’avanguardistica dinastia cinese Song aveva messo in piedi una vera e propria politica di stato sociale a sostegno dei più bisognosi.
Quella che invece è effettivamente molto più recente è la pratica di misurare con precisione il livello di benessere generale, ricorrendo sia a dati statistici sia a sondaggi presso la popolazione. Ma qui la questione si complica, perché per molti motivi, neanche troppo misteriosi, chi si assume la responsabilità della pubblica amministrazione si mostra più incline a promettere ed eventualmente porre in essere politiche di welfare che non a misurarle.
Gli ‘esiti’ della politica
In democrazia, i cittadini eleggono i loro rappresentanti affinché amministrino la cosa pubblica e, in ultima analisi, migliorino per quanto possibile la loro ‘qualità della vita’. Di fatto, quindi, intorno a questa nozione dai confini un po’ incerti, che a seconda dei casi chiamiamo ‘welfare’, ‘qualità della vita’ o più semplicemente ‘benessere’ (ma si usano anche definizioni più immaginifiche, tipo ‘livability’, ‘social capital’, ecc.), si gioca tanto la soddisfazione dei cittadini quanto il consenso accordato ai politici. Inoltre, siccome lo stesso concetto di ‘qualità della vita’ varia ampiamente da individuo a individuo, quel che conta davvero non è il benessere in se stesso, entità tutto sommato indefinibile, bensì la percezione del benessere, con tutta l’incertezza e l’approssimazione che ne consegue.
Normalmente gli amministratori pubblici definiscono le linee di intervento e si adoperano per metterle in pratica, dandone notizia al pubblico attraverso gli organi di informazione: in questo modo i cittadini vengono a sapere dai giornali, la radio o la televisione che il comune, la provincia, la regione o lo stato centrale hanno varato una serie di iniziative volte a migliorare questo o quell’altro aspetto della vita sociale. Talvolta invece è la stessa pubblica amministrazione a preoccuparsi di informare i cittadini in merito alle proprie attività attraverso portali web, pubblicazioni cartacee, convegni, ecc.
Quel che val la pena sottolineare è che, diretta o veicolata dagli organi di informazione, la comunicazione delle amministrazioni pubbliche si occupa degli inizi più che delle conclusioni, delle scelte più che dei risultati, delle cause più che degli effetti. Il Comune, la Regione hanno fatto questo e quell’altro: benissimo. Ma quali risultati hanno ottenuto? In che misura sono riusciti a incidere positivamente sulla ‘qualità della vita’ dei cittadini?
Di solito ci si guarda dal fornire informazioni complete e sistematiche, persino quando i dati a disposizione sono confortanti. Nella maggior parte dei casi ci si accontenta di eseguire monitoraggi su aspetti parziali, diffondendone gli esiti presso pubblici specializzati. Il quadro complessivo, invece, non viene quasi mai tracciato, e tanto meno divulgato. Solo in sede di campagna elettorale si ricorre alla retorica dei numeri e dei risultati, che però, essendo sempre positivi, eclatanti, straordinari, risultano per ciò stesso poco credibili.
Ecco il punto: la valutazione circa l’andamento della ‘qualità della vita’ individuale e collettiva è lasciata alle considerazioni del singolo: “da quando c’è questa nuova giunta effettivamente le cose vanno molto meglio”, oppure “con questi va tutto a rotoli”, o ancora “promettevano grandi cose, ma finora s’è visto ben poco”. E via dicendo. In mancanza di dati certi sull’evoluzione del ‘welfare’, il singolo individuo viene letteralmente abbandonato alla soggettività delle sue percezioni e punti di vista.
Vale inoltre la pena di notare che se la comunicazione degli ‘esiti’ della politica è manchevole a livello di Stato centrale, lo è ancora di più a livello delle amministrazioni locali, proprio là dove per la maggior vicinanza tra amministratori e amministrati sarebbe più facile, utile e redditizio eseguire le metriche e pubblicizzarle. Proprio per colmare questo vuoto a livello locale, e nella fattispecie a livello metropolitano, è stata concepita e realizzata l’iniziativa Torino 3.0.
San Tommaso voleva ‘toccare con mano’… E noi no?